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Tobia Lamare: dal Salento il suo disco americano. L’intervista su MIE.

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la redazione di MIE

Torniamo a parlare del grande Stefano Todisco, ovvero Tobia Lamare che torna in scena con un bellissimo lavoro disponibile anche in vinile dal titolo “Songs for the present time”.
Scritto, o forse ci vien meglio dire “raccolto”, dai tanti viaggi in giro oltre i confini nazionali per i tour e poi prodotto nella sua Lobello Records, a casa, a due passi dal mare salentino, tra le sue pietre ed il suo legno.
Un disco che ha il sapore di intimità familiare, che alla famiglia e al tempo deve ogni cosa.
Un disco che suona aggrappandosi ai grandi classici, che ai grandi classici deve molto… ma che non paga alcun altro tipo di debito. Un bellissimo ascolto che vogliamo sottolineare con forza.

Dada – il videoclip ufficiale

L’intervista a Tobia Lamare.

Non sempre parliamo di musica emergente… anzi. E in questo caso parliamo con una figura che spicca nella scena pugliese e non solo. Da anni ormai. Le tante facce di Stefano Todisco. Musicista, cantautore e se non erro il tuo nome corre anche dentro eventi, dj e quant’altro… quante facce ha Tobia Lamare?
Ha una sola faccia e sempre meno tempo libero. Non sbagli, il mio percorso da musicista è cresciuto in parallelo a quello da dj, promoter e quello che si può fare a 360 gradi con la musica. Quando ho iniziato a occuparmi di musica non c’era nessun altro a farlo in Salento per i generi che mi interessavano.
Così non avendo una festa dove andare a ballare ho iniziato a mettere dischi e a organizzare i concerti che mi piacevano. Continuo a fare le cose in questo modo.
Negli ultimi anni con la mia etichetta sono riuscito a creare un piccolo network europeo di artisti legati al mare e alle onde e questo sta dando una linea guida a quello che organizzo.
Un disco per il presente, per questo tempo, fatto di canzoni per questo tempo. Per capirlo, per codificarlo o semplicemente per ricordarci da dove veniamo?
Credo che ognuno abbia un viaggio personale dentro un disco, o almeno questo è quello che ci auguriamo noi musicisti. Non bisogna mai dimenticare da dove si arriva perchè è molto pericoloso ignorare tutto quello che c’è stato prima.
In realtà però è quello che sta accadendo in Europa, o probabilmente c’è sempre stato ma è emerso solo ora attraverso i social. Queste canzoni sono legate agli ultimi due anni della mia vita, appunto il tempo presente.
Le storie di cui si parla sono però senza data di scadenza, anche al contrario: facendosi accompagnare da loro indietro nel tempo.

La playlist di Gennaio targata MIE.


Eppure per questo presente mi sarei aspettato un suono decisamente più digitale… non trovi?
Possiamo fare pace con l’idea che il suono “digitale”, in senso di musica elettronica e di ricerca, non fa più parte del futuro ma dell’ordinario. Molte delle avanguardie hip hop hanno di nuovo il blues come chiave di ricerca e credo che il gioco dell’autotune sulla trap volgerà al termine tra pochissimo.
Gli amplificatori valvolari, il vinile e anche una band al posto di una base, sono tutti elementi che richiedono tempo a disposizione ma che ti fanno avere un risultato diverso. E’ come quando invece di comprare una merendina junk food prepari una torta a casa.
Hai un prodotto migliore, probabilmente non tossico e non generi la stessa quantità di spazzatura di plastica. Per preparare una torta base hai bisogno di 60 minuti di tempo. Ci fai colazione con chi ami per anche cinque giorni.
La musica è un atto d’amore e dev’essere suonata con la migliore strumentazione che puoi permetterti.
Fortissime i rimandi ad un certo Dylan. Ecco: a quale di quel momento storico sei più vicino?
Il mio primo album è stato “Highway 61 Revisited” che ovviamente metto a braccetto con “Blonde on blonde” e le sue performance con the Band. Amo anche “Freewheelin’” e i primi anni di folk. Non si può fare finta di niente davanti a “Girl from north country”.
Ma quella voce su “Stuck into the mobile…” e quell’arrangiamento sghembo di “Queen Jane” e i versi immortali di “Like a Rolling Stone”. Come fai quando sei adolescente a scoprirlo e a non rimanerci perdutamente innamorato.
Grazie a lui ho scoperto il folk americano, il songwriting degli anni ’70 e anche meandri del blues che ignoravo.
E palrando dell’ultimo Dylan? Cosa ne pensi?
Ho amato il suo discorso del nobel. Tutti amiamo il Dylan del passato anche se poi ascoltiamo tutto quello che produce. Ci sono degli album che non ascolto ma abbiamo iniziato a produrci da soli i nostri album nello stesso momento.
Ovviamente devo anche specificare che mi piace essere ironico, nonostante l’album sia pieno di blues in senso emozionale, questa era una battuta ed era l’unico modo per uscirne pulito da questa domanda.
In generale… parlando della canzone di oggi? Io la trovo fintamente rivoluzionaria… spesso…
Il grande insieme della musica “innovativa” vive di sample, plug in e “giri di do”.
Quando si mette un bridge si grida al capolavoro. Ma quello di cui si parla è la cosa che mi sconvolge di più: diretti, duri e puri nel dire una marea di parole senza valore come se fossero tutti degli Hemingway delle stronzate.

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