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MARCO CANTINI: quando la letteratura incontra la canzone

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Si intitola “LA FEBBRE INCENDIARIA” il nuovo disco di MARCO CANTINI
Una seconda per il cantautore toscano che certamente non solo conferma il suo grande impegno letterario ma soprattutto da grande sfoggio di quel peso poetico – ahimè un tempo ormai possiamo dire – ci si aspettava che avesse la canzone d’autore.
CANTINI in questo secondo disco registrato quasi totalmente in presa diretta e pubblicato dalla RadiciMusic affronta il celebre romanzo di ELSA MORANTE dal titolo “LA STORIA”: ecco dunque la decisione di intitolare così questo articolo. La letteratura che contamina e arricchisce la forma canzone.
Tra le featuring di questo lavoro segnaliamo FRANCESCO MONETI dei MODENA CITY RAMBLERS e CLAUDIO GIOVAGNOLI dei FUNK OFF.
Un disco molto impegnativo, soprattutto non indicato a chi ormai la canzone la tratta come mero intrattenimento estetico. Un disco che fa cultura.
 

L’intervista a Marco Cantini

Non un esordio ma una seconda prova. In genere si dice che il secondo disco debba in qualche modo confermare una crescita o un’evoluzione. Col senno di poi, tu come lo vedi questo nuovo disco? Come lo senti? Crescita, semplice conferma o rivoluzione?
Tendo spesso a guardarmi indietro e a dare uno sguardo, non senza autocritica, a ciò che ho fatto fino ad ora in campo musicale. Diversi miei collaboratori ritengono che questo sia un album di ulteriore crescita, e sostanzialmente mi ritengo d’accordo con loro: per me è soprattutto un lavoro nel quale per la prima volta, all’interno del mio tortuoso percorso artistico, hanno coinciso diversi aspetti che credo siano fondamentali per la riuscita di un buon disco.
Ma mi fermo qui soprattutto perché trovo assolutamente stucchevole, oltre che inutile, elogiarsi ed autocitarsi. Devono essere gli altri a dare i giudizi. Voi che ne pensate?
Noi personalmente abbiamo trovato la crescita pensando alle esecuzioni dal vivo, a quel certo modo di gestire il disco e il progetto. Ma per quanto riguarda l’estetica, la forma, la composizione e la filosofia della forma canzone, abbiamo trovato una conferma di cifre stilistiche che ti sono proprie. Che ne dici?
Nello specifico, direi che “Siamo noi quelli che aspettavamo” è un album – passatemi il termine – più politico: pregno di riferimenti, rivolto in gran parte ad un determinato periodo storico ed artistico, quello del ’77 bolognese, certamente di più difficile fruizione rispetto alle tematiche che “La Storia” di Elsa Morante porta inevitabilmente con sé: popolari per definizione, più facilmente comprensibili.
Con simboli e significati certamente più filosofici che politici. Oltre a questo, aggiungo che per esigenze dettate dalla ferma decisione di attenermi alle vicende e ai personaggi descritti nel romanzo, “La febbre incendiaria” ha uno stile compositivo più asciutto e narrativo.
Elsa Morante nel mirino di queste canzoni. Il focus è stato ispirato a lei come scrittrice o dall’Italia di quegli anni che lei racconta in un modo forse unico? Se penso al tuo primo disco, parlando proprio di connessioni, io direi la seconda… sbaglio?
È vero che ne “La febbre incendiaria” e nel precedente disco ho raccontato pagine di storia italiana, ma tengo a sottolineare che non si è trattato di manieristici tentativi da passatista. L’aspetto fondamentale del romanzo, che mi ha spinto a realizzare questo LP, è la profondità del messaggio della grande scrittrice romana.
Che per ovvie e tristi ragioni, purtroppo, mantiene inalterata la sua attualità. In fondo, ciò che da sempre trovo più intrigante ne “La Storia”, e che mi ha fortemente ispirato, è la totale assenza di riscatto e speranza che trapela in ogni pagina.
E se ci ho preso, direi che l’Italia è un “personaggio” che ti sta molto a cuore. E il tuo sguardo è rivolto ad un passato che, nella drammaticità di tanti eventi, forse conservava una verità che oggi non abbiamo…
Sì. Ma come ho detto in precedenza, è uno sguardo sul passato propedeutico ad un’analisi sul nostro presente. Guai se non lo fosse. Il senso del professore precario bolognese dei nostri tempi in “Siamo noi quelli che aspettavamo”, che si tuffa – attraverso un sogno – dentro un’Italia che ancora lottava, si incazzava e scendeva in piazza (non per partite di calcio), segue le stesse logiche della voce narrante de “La Storia” (e conseguentemente de “La febbre incendiaria”): consapevole che in ogni epoca ci saranno sempre emarginati, o persone sofferenti per la sola colpa di essere nate, e che le dinamiche di quel potere che faceva la Storia a discapito di milioni di esseri umani ce l’abbiamo ancora davanti agli occhi. Assume altre sembianze, ma è costantemente presente.
Non sapevamo che tuo padre fosse un pittore. Raccontaci questo incontro tra immagini e musica…
Mio padre è un pittore straordinario, un uomo che da sempre ha fatto della pittura la sua quotidiana ragione di vita. Facendo poesia non con le parole, ma attraverso le immagini e i simboli, così severi e pregni di significati.
E alcune sue opere, come “Il brutto anatroccolo” che compare nel videoclip de “L’orrore”, sembrano descrivere gli attimi successivi allo stupro perpetrato ai danni di Ida Ramundo da parte del soldato Gunther. Opere assolutamente perfette per rappresentare questo album.
La redazione di MIE

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